Il panettone è un simbolo della città di Milano, al pari soltanto del Duomo con la sua “Madunina” o, restando in ambito gastronomico, della cotoletta e del risotto. Tuttavia la storia lo ha da tempo associato alle tradizioni di Natale in ogni parte d’Italia, a partire dagli anni ’50, quando ne iniziò la produzione in ambito industriale e la conseguente distribuzione a scala nazionale. Oggi le grandi aziende produttrici di panettoni si trovano in tutta Italia, ma a Milano sono ancora moltissimi i maestri pasticcieri che, seguendo la ricetta tradizionale, producono artigianalmente questo dolce, le cui origini sfumano a tratti nella leggenda. Tre in particolare sono le storie più famose riguardanti la nascita del panettone, ma esiste anche una spiegazione più plausibile.
Una leggenda narra che il nobile Ughetto degli Atellani, falconiere di Ludovico il Moro, innamorato della bella Adalgisa, figlia del panettiere Toni, per stare accanto alla sua amata, vestisse di notte i panni da garzone. Proprio in quel periodo le vendite del forno di Toni, situato in corso Magenta a Milano, erano in forte ribasso, a causa dell’apertura nelle vicinanze di una nuova bottega. Il giovane Ughetto decise allora di rubare una coppia di falchi al Moro e di venderli per comprare del burro. La notte, mentre impastava i soliti ingredienti per il pane, aggiunse al preparato anche tutto il burro acquistato. Il giorno dopo la bottega fu letteralmente presa d’assalto: si cominciava già a favoleggiare del pane più buono di Milano.
Nei giorni successivi altri due falchi vennero sacrificati per l’acquisto di ulteriore burro e di un po’ di zucchero da aggiungere all’impasto del pane. Milano impazziva per il “pane speciale” del Toni. Sotto le feste di Natale, Ughetto diede un ultimo tocco alla ricetta, aggiungendo uova, pezzetti di cedro candito e uva sultanina. Tutta Milano, in quei giorni prima di Natale, transitò dalla bottega per comprare quello che già tutti chiamavano “pangrande” o “pan del Toni” (da qui il termine panettone), da servire in tavola il giorno di Natale. Toni divenne ricco e i genitori di Ughetto, ostili al suo fidanzamento con Adalgisa, non ebbero più da lamentarsi e così, come in ogni fiaba che si rispetti, i due giovani si sposarono e vissero felici e contenti.
Un altro racconto sul panettone è ambientato anch’esso alla corte di Ludovico il Moro, durante lo svolgimento di un sontuoso banchetto di Natale. Nelle cucine erano tutti molto impegnati nel preparare portate all’altezza dei commensali, ma qualcuno inavvertitamente lasciò troppo a lungo in forno il dolce da servire a fine pasto, che andò così bruciato. Il capocuoco cadde nella disperazione, il duca Ludovico lo avrebbe condannato a morte. Ma quando ormai il suo destino sembrava segnato, si avvicinò a lui lo sguattero Toni, rivelando di aver tenuto per sé un pezzo dell’impasto del dolce perduto.
Per avere qualcosa da mettere sotto i denti al termine del lavoro, ci aveva aggiunto della frutta candita, uova, zucchero e uvetta. Se il capocuoco avesse voluto, avrebbe potuto portare quel dolce a tavola. Non avendo altra scelta, il capocuoco infilò nel forno quella specie di forma di pane e, una volta pronto, lo fece servire. Il pan del Toni riscosse un successo strepitoso, tanto che negli anni seguenti il cuoco di corte non poté sottrarsi dal prepararlo a ogni banchetto natalizio, e presto l’usanza si diffuse anche tra la popolazione milanese.
Una terza storia ha come protagonista suor Ughetta, addetta alla cucina di un convento in difficoltà economiche, intenzionata a preparare un piatto speciale da regalare alle sue consorelle per rendere il loro Natale un po’ più felice. Ispezionate le riserve della cucina, le venne un’idea. Prese parte della pasta per il pane che aveva già preparato e aggiunse un paio di uova, dello zucchero e del burro. Poi, ispirata, aggiunse anche dell’uvetta, qualche candito e delle spezie. Lavorò bene l’impasto e gli diede la forma di una pagnotta. Infine con il coltello tracciò una croce sulla superficie del dolce e lo mise in forno.
Quale non fu la sua meraviglia quando andò a sfornare: cuocendo e gonfiandosi, il dolce si era innalzato a forma di cupola e la croce sulla superficie dorata si era spaccata, formando un rilievo molto decorativo. Il giorno seguente, al pranzo di Natale, suor Ughetta portò in tavola la sorpresa e in un attimo non ne rimasero che poche briciole. Ben presto la fama del dolce natalizio di suor Ughetta si sparse in tutta Milano. La cucina del convento cominciò a lavorare a pieno ritmo per soddisfare le richieste di quanti desideravano assaggiare il pane tanto decantato e da allora il convento non soffrì più la povertà.
Al di là delle leggende popolari, è più probabile che la ricetta del panettone derivi da una modifica a quella del pane che veniva preparato in occasione della cerimonia del ceppo (o del ciocco). Durante tale rito, che si svolgeva a Natale, un grosso ceppo di quercia veniva acceso nel camino delle case delle famiglie milanesi. Il capofamiglia doveva poi versarsi del vino e berne un sorso. Dopo aver gettato un po’ di quello stesso vino sul ceppo acceso, faceva passare il bicchiere a tutti i membri della famiglia. Infine gettava una moneta tra le fiamme e altre ne distribuiva a ogni familiare.
Al termine di questo rituale, al capofamiglia venivano portati tre pani di frumento, sui quali egli incideva una croce con il coltello, come benedizione per il nuovo anno. Infine tagliava un pezzo da uno dei tre panettoni, che doveva essere conservato fino al Natale successivo, pena un anno di sfortune.
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